La movimentazione fisica dei beni costituisce la conditio sine qua non per il conferimento del carattere comunitario all’operazione.
La Corte di Cassazione ha ribadito, con la sentenza 9717 del 2018, l’insufficienza delle fatture e delle attestazioni di pagamento quale supporto della non imponibilità delle cessioni intracomunitarie.
La sentenza segue un orientamento già ribadito da precedenti sentenze secondo cui è requisito fondamentale per fornire qualifica comunitaria all’operazione il possesso, da parte del cedente, della CMR (anche in formato elettronico, risoluzione 71 del 2014 dell’Agenzia delle Entrate) e dei contratti di compravendita.
La disciplina comunitaria al fine di qualificare un’operazione non imponibile richiede il rispetto congiunto dei seguenti requisiti:
- Trasferimento di proprietà del bene in capo all’acquirente comunitario;
- Spedizione/trasporto del bene in uno stato comunitario diverso da quello del cedente;
- Effettiva fuoriuscita della merce dallo stato membro del cedente
Il cedente comunitario dovrà quindi, oltre all’assolvimento degli elementi formali, provare anche l’effettivo ingresso delle merci nel territorio dello stato membro in cui è stabilito il cessionario.
Non essendo presente nella legislazione nazionale una disposizione che definisca le prove che dovranno essere fornite dal cedente per conferire lo status comunitario a un’operazione, questi non potrà far altro che rifarsi alla prassi per operazioni analoghe.
L’esportatore si troverà, seguendo la prassi, di fronte a una dicotomia divenuta fonte di innumerevoli contestazioni in materia di non imponibilità delle operazioni intracomunitarie.
Da un lato l’esportatore si troverà di fronte ai chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate (risoluzione 447 del 2008) secondo cui “la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria e dell’uscita dei beni dal territorio dello stato può essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro stato membro”. In analogia si pone anche la risoluzione 71 del 2014.
Dalle due risoluzioni sopracitate traspare dunque una certa apertura da parte dell’Agenzia delle Entrate in tema di prove da fornire per comprovare le cessioni comunitarie.
La seconda fattispecie è rappresentata dall’orientamento della Corte di Cassazione, come nell’ultima sentenza 9717/2018, che conferma un approccio teso a considerare la CMR firmata come elemento fondamentale per la qualifica comunitaria dell’operazione.
Tali orientamenti pongono dunque l’esportatore in una situazione di incertezza con il rischio di vedersi contestare la natura comunitaria dell’operazione, anche nel caso in cui riesca a provare l’introduzione delle merci nel paese dell’importatore mediante documenti alternativi alla CMR firmata.
Pur essendo auspicabile l’introduzione di una disposizione di legge riportante tutti i documenti necessari per provare la natura comunitaria delle operazioni di compravendita, in conclusione, è bene che gli esportatori conservino sempre copia della CMR firmata dall’importatore.
Uno spunto operativo, oltre ad una vendita con trasporto che consente di avere una legittimazione attiva sul vettore, garantendo anche un controllo diretto sulle merci fino alla consegna e divenendo pertanto un elemento di marketing, può essere rappresentato da una clausola da inserire nei contratti di compravendita che preveda una obbligazione per il compratore di far pervenire al venditore copia della CMR, anche in formato elettronico, comprovante la ricezione della merce stessa.
Giovanni Natale Schiavon.